Caso John Ashfield: la brand reputation al tempo della rete

Il 5 aprile 2009  Arianna Cavazza (Sybelle) scrive un post per argomentare il suo giudizio negativo su una campagna stampa di John Ashfield. Ad agosto un commento anonimo, in cui si accusa l’azienda di produrre in Bangladesh e non in Irlanda e Scozia, da vita ad altri commenti pro e contro.

Il 15 febbraio WordPress.com, senza alcuna comunicazione a Sybelle, oscura il blog e la rete si mobilita soprattutto per denunciare il comportamento censorio (anche se nel rispetto dei temini di servizio) della creatura di Matt Mullenweg.

john-ashfield

Dopo qualche giorno WP riattiva il blog,  ma monco del post incriminato. Mentre le acque si stavano chetando spunta la lettera aperta di Andrea Celli, proprietario del brand John Ashfield, che pur chiarendo alcuni punti oscuri, rende la vicenda un caso di studio della comunicazione al tempo dei pubblici connessi. Alcune considerazioni di natura tecnica:

– errore di metodo e prospettiva: scomodare il legale per chiedere a WordPress di censurare il post senza provare a dialogare con Arianna o a rispondere ai commenti considerati infondati, è il tipico atteggiamento frettoloso di chi ignora le dinamiche della rete e provoca il cosiddetto “effetto Streisand

– lo strumento di comunicazione: una lettera rivolta a Sybelle, ma inviata a Giglioli e incollata pedissequamente nei commenti di  tutti i blog che hanno scritto del caso;  sarebbe stato meglio fare uno sforzo per rispondere in maniera personale ai blogger.   Di fatto ciò ha spostato i riflettori da WordPress a John Ashfield, col risultato di determinare una valanga di post visibili fin dalle prime pagine dei risultati di qualunque motore di ricerca

– il tono della lettera: accusatorio

Dato che La ritengo una ragazza sagace, spero Lei comprenda di aver fatto degli errori gestendo con leggerezza un blog sul mio marchio e permettendo di trattare in esso una materia a Lei sconosciuta, errori di cui noi pagheremo le conseguenze.

insinuatorio

Vorrei comunque anche avere l’opportunità di conoscerLa meglio per capire perché ha fatto questo e quale vantaggio può esserle venuto da questa situazione.

paternalistico e offensivo

Se posso darLe comunque un mio consiglio per il futuro, Le dico che nella vita non basta aprire un blog per realizzarsi criticando quello che fanno gli altri, perché, come Lei saprà, lavorando si può anche sbagliare, ma forse è meglio investire le proprie energie cercando di creare un proprio progetto facendolo con passione e sacrificio come io ho sempre fatto in questi anni.

– l’errore di comprensione: considerare la rete come un soggetto controparte e non come un ecosistema di relazioni, nel quale ogni azione produce delle conseguenze, inimmaginabili a chi non ne conosce le dinamiche 

Quindi Le chiedo sinceramente di aiutarmi in prima persona a far cessare tutto questo casino che è scaturito dal mondo di Internet contro la mia azienda.

Come scrive perfettamente Giovanni, il “casino” non si può far cessare. In rete ciò che viene scritto è permanente e ricercabile. Il vero punto non è tanto “fare smettere” o fare cancellare post e conversazioni ma pensarli come la base della propria reputazione online. Aggiungerei che oggi la costruzione/distruzione della brand reputation passa necessariamente dalla rete. 

Signor Celli, provi a frenare l’istinto al controllo della comunicazione e ad abbandonarsi al dialogo con i suoi clienti, aprendo un blog o sfruttando la pagina Facebook per mostrare la produzione scozzese, raccontare le sfide di una PMI in un mondo globalizzato, coinvolgere Arianna nella progettazione della prossima campagna adv, vedrà che i benefici non tarderanno a palesarsi.

11 replies on “Caso John Ashfield: la brand reputation al tempo della rete”
  1. Sarò molto netto: ormai c’è una sufficiente quantità di case-studies in grado di mettere al riparo le aziende da alcuni errori di comunicazione. Sarebbe già molto difficile giustificare la gestione ottusa delle logiche di comunicazione in Rete (non si capisce perchè per alcuni il marketing su Internet è ancora un oggetto “nuovo”) da parte di una realtà produttiva consolidata.
    Diventa peraltro totalmente inaccettabile il fatto che un’azienda di livello nazionale non abbia neanche l’idea di cosa sia il marketing relazionale, il CRM, la gestione dei momenti della verità con il consumatore e gli effetti sul branding.
    Vorrei dunque sottoporre all’azienda in questione due fondamentali paradigmi, uno del marketing strategico e uno del marketing operativo: “Chi è causa del suo mal pianga se’ stesso” e “Chi semina vento raccoglie tempesta”. In aggiunta a (ma bisogna conoscere l’inglese) “Think before you post”

    Sarebbe invece interessante discutere con te il concetto di controllo della comunicazione. “Abbandonarsi al dialogo” e “attivare un dialogo tra pari” li vedo due concetti diversi, come intendo diversi i concetti di “controllo della comunicazione” e “controllo dei luoghi dove si svolge la comunicazione”.
    Intendo dire che il controllo (“fare andare le cose dove si desidera”) è attività fondamentale in una strategia di marketing. Ci deve essere cioè un controllo, ma corretto. Che ne pensi?

  2. says: Alf

    In effetti le persone a volte si comportano stranamente.

    Sarà forse a causa del successo, ma per me resta sorprendente come proprio le aziende che dovrebbero essere più consapevoli dei meccanismi della comunicazione non si rendano conto che sulla rete l’arroganza non paga e in più quello che è stato scritto tende a restare a galla.

    E non sono solo le aziende a cadere in questi errori, ci cascano anche le persone di spettacolo (d’altronde l’effetto Streisand prende il nome da una di loro) e i politici (e la cosa mi sembra davvero clamorosa).

    Mi sembra macroscopico il caso di un paio di settimane che riguarda Elisabetta Tulliani, la compagna di Gianfranco Fini, la quale, volendo eliminare le foto della sua storia d’amore con Gaucci è riuscita a far aumentare notevolmente la loro diffusione sul web.
    http://www.reimago.it/testiamo-leffetto-streisand-insieme-ad-elisabetta-tulliani.html

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